Caso Cucchi: la sentenza della Corte d’Appello di Roma assolve tutti, anche i medici che erano stati condannati in primo grado per la morte del trentunenne, avvenuta il 22/10/2009. I genitori e la sorella di Stefano reagiscono con lacrime di rabbia e dolore, mentre tra le fila degli assolti qualcuno esulta e qualcun’altro alza il dito medio. Non appare possibile, per la Giustizia Italiana, individuare chi, all’interno delle forze dell’ordine, lo avrebbe pestato di botte e non è possibile condannare nessun medico né nessun infermiere per la mancata alimentazione di Stefano. Il ragazzo, con evidenti ecchimosi sul corpo e fratture multiple da percosse, era stato ricoverato all’Ospedale Sandro Pertini di Roma, sezione detenuti, dove è morto, solo, senza poter vedere i suoi amici e familiari, ai quali è stato impedito l’accesso. Il tempo per i suoi di chiedere ed ottenere i permessi necessari per visitarlo ed ecco che Stefano non c’era già più. “Teneva sempre un lenzuolo sulla faccia, non voleva mangiare, né bere” aveva dichiarato un’infermiera all’epoca del decesso. Perché non gli hanno somministrato un’alimentazione forzata? “Io credo che un medico o un infermiere, di fronte a un ragazzo di trent’anni che sta male, anche se detenuto, quel lenzuolo lo debba alzare… Per vedere come sta…” Aveva risposto Ilaria Cucchi, che continua a combattere chiedendo che siano individuati i colpevoli della morte del fratello. “Non ci arrenderemo finché avremo vita, continueremo a cercare giustizia e andremo in cassazione” ha dichiarato. Per Gianni Tonelli, portavoce del SAP (Sindacato Autonomo di Polizia): “Chi conduce una vita dissoluta ne paga le conseguenze”. Purtroppo Stefano Cucchi non è stato l’unico a morire -in circostanze ancora oscure- dopo essere finito nelle mani della “legge”. Vogliamo ricordare anche: Aldo Bianzino, Manuel Eliantonio, Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Davide Bifolco e tanti altri. Alcuni erano innocenti (come Aldrovandi, i cui assassini, sebbene siano stati giudicati colpevoli, pare indossino ancora la divisa), altri erano delinquenti, “tossici”,“ubriachi”,“dissoluti”. Eppure quei tossici, quegli ubriachi, quei dissoluti, per le loro famiglie avevano un nome: Stefano, Davide, Giuseppe, Mario, Marco, Giulio… Erano ragazzi pieni di una vita che avrebbero potuto ancora cambiare in meglio e avevano dei sogni che non potranno mai più realizzare. Manuel era stato arrestato per semplice resistenza a pubblico ufficiale ed è morto a 22 anni, al Marassi di Genova, con evidenti segni di violenza su tutto il corpo, ma per le forze dell’ordine si è suicidato, solo pochi giorni prima di uscire di prigione. Per sua madre questa versione non regge, perché il ragazzo non vedeva l’ora di lasciare il carcere e rivedere la sua fidanzata, la propria famiglia. “Stefano Cucchi però era uno spacciatore” obiettano in molti. In realtà era soprattutto un consumatore di droghe ed era stato anche in una comunità di recupero, per cercare di disintossicarsi. Era un ragazzo di Centocelle, a pochi km da chi scrive e chi scrive conosce anche il Sandro Pertini, dove Stefano Cucchi è morto, senza poter prima vedere la sua famiglia. Non ho idea di come trattino i detenuti nella sezione a loro dedicata, ma sapendo in quale considerazione tengono i cittadini incensurati -davvero scarsa, per la mia esperienza personale e familiare-, non mi stupisce apprendere che Stefano Cucchi non ha ricevuto tutti gli onori. Molti esprimono facili giudizi o immediate solidarietà ai camici bianchi, senza avere idea dei contesti nei quali avvengono i fatti. Stefano viveva in uno dei tanti quartieri della periferia romana, dimenticata dalla legge, dove lo Stato non arriva per guarire, né per insegnare l’arte, la musica, la bellezza… Dove i palazzoni si susseguono a inseguire il cielo, sfruttando ogni centimetro di aria, ma non sembra proprio di essere a New York. Le strade salgono e scendono come a San Francisco, ma i muri della Asl di Piazza dei Mirti pare che non li dipingano dagli anni ’60 per quanto sono sporchi e la sera i lampioni si spengono presto, vicino al cinema, l’unico ritrovo culturale del quartiere. Quando esci di là, finito il film, ti ritrovi in uno scenario che sembra post atomico: buio, silenzio, degrado. Sulla via principale c’è sempre un po’ di luce, tutto si vende e si compra: pezzi di ricambio, droga, salato e dolcetti… è terra di sfasciacarrozze, spacciatori, paninari, prostitute e cornettari 24 h. Era proprio là che, vuoi o non vuoi, passava Stefano: dove lo Stato non arriva per formare ma, una tantum, soltanto per colpire. Dedichiamo all’accaduto una vignetta in tema con il giorno, senza voler mancare di rispetto a nessuno. Perché la sentenza di piena assoluzione è arrivata proprio per Halloween e verrebbe da credere che si tratti di un tragico scherzo… (M.I.)

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