I sogni, a volte, non hanno argini. Sanno essere smisurati, come l’innocenza. Ha appena 12 anni, Rita, quando la mafia uccide suo padre, Don Vito Atria, piccolo boss di Partanna. Rita sogna giustizia. “Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi c’impedisce di sognarlo? Forse, se ognuno di noi prova a cambiare, ce la faremo!” Scrive sul suo diario. Un diario in cui non annota soltanto idee ma anche date, nomi, collegamenti, discorsi dei “grandi”. Loro non fanno caso a “Rituzza“, la “picciridda*” e lei appunta tutto. Suo fratello maggiore, Nicola, a cui è legatissima, è anche lui un mafioso, come suo padre e fa la stessa fine: viene assassinato, da chi vuole prendere il suo posto. A questo punto, Rita, diciassettenne, segue l’esempio della cognata, Piera Aiello e decide d’incontrare il magistrato Paolo Borsellino, l’unico in cui ripone la sua fiducia, al punto da consegnargli il diario. In un Paese che conosce l’omertà come comportamento unico su cui strutturare i rapporti e le convenzioni sociali, il suo gesto è talmente straordinario che non esiste neanche un termine per definirlo. Siamo nel 1992 e ancora non è contemplata la figura giuridica del testimone di giustizia -istituita dalla legge n. 45 del 13 febbraio 2001-. Di testimoni innocenti, vogliosi di collaborare con i magistrati,  non se ne vedono molti in giro per l’Italia. Esiste la figura del pentito, il “collaboratore di giustizia.” Di solito, è un mafioso, il quale dà informazioni in cambio di uno sconto di pena. Rita, invece, non ha commesso alcun reato e i fatti che racconta sono un vero e proprio esplosivo, che consegna nelle mani del Magistrato. Sa chi comanda in paese, dice che i boss sono legati al sindaco di Partanna, Vincenzino Culicchia, il quale sarebbe il mandante di un omicidio e a sua volta collegato, secondo l’adolescente, ad altri personaggi della politica Siciliana, a loro volta riconducibili ad alte cariche dello Stato e a rami dell’industria. Una rete fitta. Le informazioni di Rita sono pezzi di un mosaico, che il magistrato Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e la squadra antimafia di Palermo, ricompongono. Vincenzino Culicchia, detto Enzo, della Democrazia Cristiana, viene indagato, con altri sospettati, per associazione mafiosa. Pochi mesi dopo, il 23 Maggio, il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e  Antonio Montinaro, saltano in aria nella nota strage di Capaci. Rita, nel frattempo, è a Roma, con il programma di protezione testimoni. Il 19 Luglio, poco prima del processo, in cui la ragazzina avrebbe fatto nomi e cognomi, però, Paolo Borsellino e i suoi agenti di scorta -Emanuela Loi,  Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina,- muoiono nell’attentato in Via d’Amelio, a Palermo. La famosa agenda rossa, in cui il magistrato custodiva tutte le informazioni riservate, incluse quelle trasmessogli da Rita, non si trova più. Appena una settimana dopo la strage, il 26 Luglio 1992, Rita cade dalla finestra della casa protetta dove vive, in Via Amelia, a Roma. Per una tragica fatalità o, forse, per un piano criminale organizzato nei minimi dettagli, il magistrato Borsellino e la sua pupilla, che a lui si era legata, come a un padre, muoiono su due strade diverse che portano lo stesso nome, rispettivamente al maschile e al femminile. La morte di Rita è immediatamente archiviata come suicidio. Poco cambia, in realtà, se a spingerla nel vuoto siano state materialmente due mani criminali, con l’intento di lanciare il segnale che gli uccellini che cantano, volano, dalla finestra, oppure se a istagarla a togliersi la vita sia stato il senso d’impotenza generato in lei dall’uccisione di Borsellino. Nessuno viene mai indagato per la morte dell’adolescente. Nello stesso anno, il 1992, Vincenzino Culicchia, colui che avrebbe dovuto essere il principale accusato da Rita al processo, viene prosciolto da ogni accusa per insufficienza di prove ed eletto alla Camera dei Deputati con la DC. La madre di Rita, nel frattempo, distrugge a martellate la lapide della figlia, nel cimitero dov’è sepolta. Potete, forse, considerare quest’articolo inserito per errore nella sezione inchieste. In realtà, un’inchiesta sulla morte di Rita Atria non è in corso e non è mai stata aperta da nessuna procura. Quella ragazzina, che si è opposta al codice di comportamento criminale dal suo ambiente, si è suicidata chissà per quale ragione. Forse, in realtà, non esiste nemmeno la mafia. Non era soltanto Rita a sognare, ma anche quella parte d’Italia che vede al potere, ancora oggi, taluni, gli stessi, che lei additava allora. Dobbiamo svegliarci dall’incubo che il sistema malavitoso governi l’Italia a tutti i livelli, perché in realtà quel sistema è stato debellato! Dobbiamo risvegliarci alla realtà del mondo giusto e perfetto nel quale già stiamo vivendo. (M.I.)

*picciridda significa ragazzina in Siciliano

Rita Atria 4

 

Rita Atria 3

https://usercontent.one/wp/www.ildiretto.com/wp-content/uploads/2016/07/Rita-Atria-4-1024x743.jpghttps://usercontent.one/wp/www.ildiretto.com/wp-content/uploads/2016/07/Rita-Atria-4-150x150.jpgRedazioneDirettoInchiestemafia,Paolo Borsellino,Rita AtriaI sogni, a volte, non hanno argini. Sanno essere smisurati, come l’innocenza. Ha appena 12 anni, Rita, quando la mafia uccide suo padre, Don Vito Atria, piccolo boss di Partanna. Rita sogna giustizia. “Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi c’impedisce di sognarlo? Forse, se ognuno di...